C’è un momento spartiacque nella storia recente che riguarda il degrado urbano e gli aspetti connessi alla mobilità, ed è il crollo del Ponte Morandi quale immane tragedia ed evento scioccante per il venir meno nella fede incrollabile verso uno sviluppo inarrestabile, che è poi l’essenza del concetto della cosiddetta “modernità”. Non stiamo qui a trattare ciò che l’ha preceduto, che pure va dato per acquisito nei nostri ragionamenti (le Grandi Opere infrastrutturali inutili e dannose per l’ambiente: Gronda di Ponente, TAV e dragaggi/piattaforme logistiche portuali e retroportuali, immensi cantieri che producono un innalzamento delle emissioni climalteranti, costituiscono soluzioni onerose dal punto di vista del rapporto costi/benefici e inducono uno sviluppo industriale e commerciale distorto), ma partiamo da quest’ultimo fatto per interrogare il futuro prossimo venturo della mobilità genovese. Intanto un dato: solo a seguito di tale tragico accadimento e in modo del tutto occasionale si è proceduto speditamente e in modo abboracciato a individuare soluzioni che potessero alleviare i problemi viabilistici; ed ecco così spuntare la strada interna alla cinta portuale per collegare i vari terminal portuali con il loro traffico di mezzi pesanti, la presa in cosiderazione della linea ferroviaria dismessa tra Sampierdarena e il Campasso, le giornate con i mezzi pubblici gratuiti (senza adeguata informazione all’utenza).
Cosa si è fatto alla fine per contribuire a risolvere davvero l’annoso problema del traffico cittadino? Siamo uno snodo strategico per lo sviluppo del triangolo industriale del Nord-Ovest, ma il surplus di traffico pesante che ammorba e paralizza la città, a maggior ragione per i fatti appena ricordati e un domani per il gigantismo navale provocato dai flussi commerciali provenienti dall’Oriente sulla cosiddetta ”Via della Seta”, non è motivo sufficiente per chiedere adeguate contropartite in termini di investimenti per il Trasporto Pubblico Locale; anzi proprio a causa dei costi (e per non intralciare il traffico privato) si abbandona l’ipotesi del tram sugli assi di forza cittadini per farsi finanziare un piano che prevede l’utilizzo di filobus snodabili, con un sistema che include rotture di carico per l’utenza, che dovrà quindi effettuare trasbordi lungo i tragitti verso il centro cittadino, minori possibilità di introdurre corsie protette e un taglio nell’offerta di km serviti, in linea si direbbe con il progressivo contrarsi del numero di passeggeri trasportati dal servizio pubblico in questi ultimi anni. C’è poi da registrare progetti pretenziosamente avveniristici (immaginate l’impatto visivo e la poca fruibilità) che aggiungerebbero altre tipologie di vettori quali lo skytram in Valbisagno, che significa ancora rotture di carico, mentre si condanna la metropolitana a terminare anticipatamente la sua corsa verso S.Fruttuoso in zona prossima alla fermata di Brignole, con l’intento evidentemente di non ostacolare gli investimenti immobiliari e trasportistici in ambito cittadino della Società Ferroviaria, e con ciò affossando definitivamente la tenuta dei conti di AMT che ne detiene la proprietà.
Per non parlare della continua e sempre più pervasiva diffusione di Centri Commerciali anche di grandi dimensioni, i quali naturalmente presuppongono spostamenti con mezzi privati, ulteriore congestionamento viario e relativo inquinamento.
E siamo infine arrivati ai tempi della Pandemia da Sars Covid-19, dove più che mai i contagi viaggiano sui bus quando si trovano affollati nelle ore di punta, posto che chi può utilizza ancor di più il mezzo privato moto/auto e aumenta così l’inquinamento veicolare.
Stante questa fallimentare politica della mobilità cittadina cosa resta da fare? Chiedere con forza l’immediata introduzione delle corsie riservate per il trasporto pubblico e farlo possibilmente unendo le forze con quei soggetti che hanno a cuore la valorizzazione degli spazi cittadini e il benessere dei suoi abitanti, consolidando in questo modo le prime aperture sul fronte della mobilità dolce (piste d’emergenza per bici, monopattini, monoruota ecc…).
Puntare poi sul trasporto pubblico gratuito con meccanismi premiali per chi abbandona l’auto di proprietà. Tornare indietro riguardo al ruolo assunto dai Privati nella gestione delle reti infrastrutturali di trasporto (Ferrovie, Autostrade….). Istituire processi partecipativi per il controllo pubblico sui risultati ottenuti dal management cui è affidata tale responsabilità e naturalmente sulle decisioni strategiche da compiere in tema di mobilità.
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