Bisognerebbe tornare sulle montagne….per capire la città. Era anche questo un progetto di camminate e meditazioni per elaborare una visione di città diversa dalla miseria umana che spesso induce quella che conosciamo. Non se ne fece nulla ma l’esigenza rimane: tirare fuori la testa, esibire un atteggiamento di rifiuto del presente, corroborare lo spirito in una marcia ascetica che facesse vedere con più chiarezza (dall’alto dell’Appennino).
Genova ha subito trasformazioni pesantissime che ne hanno compromesso l’innata bellezza, impasto di natura e storia forgiatosi nei secoli del suo sviluppo e della sua passata grandezza. Lo Sviluppo industriale nella parte occidentale della città (il Ponente), la speculazione edilizia in particolare sui versanti collinari e nelle vallate, con l’ultimo pendant del trasferimento di volumi sul Levante, sono i fatti più rilevanti che hanno caratterizzato tale congiuntura storica.
La Società dei Consumi e della motorizzazione di massa ha fatto il resto…..
Non c’erano dunque già ragioni sufficienti per intraprendere una “marcia di rivolta”?
Oggi ci misuriamo con Piani Casa che aumentano le volumetrie del costruito, Distretti di trasformazione che fanno tabula rasa dell’esistente e sempre possibili varianti a quelle zone teoricamente salvaguardate, mentre con l’attuale Giunta di Centro-Destra siamo alla mascherata delle proposte immaginifiche che puntano a stravolgere ulteriormente i connnotati urbanistici nella speranza di vendere il prodotto-città sul mercato del turismo di massa e dare nuovamente mano libera agli appetiti di chi voglia contrattare la consegna di pezzi di città all’insegna del vecchio motto “privato è bello!”. Quello che manca ancora una volta è un progetto di città rispettoso dei delicati equilibri cui ci dovrebbe obbligare la materia di cui è fatta la nostra storia e una natura che pure ci ha chiaramente e tragicamente indicato i limiti che è bene non oltrepassare.
Genova è città policentrica, fatta dei tanti Comuni che la componevano prima della sua unificazione in epoca fascista, quindi da valorizzare nei percorsi storici (le vie Romane, gli acquedotti storici, le vie del sale) che collegano gli agglomerati originari; nelle sue vie interne (le creuze) da non occludere o asfaltare per farne passaggi alle proprietà private; nei suoi carruggi da conservare senza, tra l’altro, cambiare la destinazione d’uso in abitativo dei locali del Centro Storico posti sul piano strada, che deve tornare ad essere frequentato da residenti e avventori come luogo di svago e per l’offerta merceologica reperibile.
Invece di chiudere gli spazi, garantirne la fruizione alla comunità; invece di cancellare le tracce del passato, valorizzarne la lettura riconducendo ad unità quanto ancora rimasto; invece di intervenire con pesanti opere infrastrutturali, concedere alla natura gli spazi che gli sono necessari. Tutte operazioni di tutela utili a conferire identità ai luoghi e dignità ai loro abitanti, avendo questo interesse come primo scopo della pianificazione urbanistica che ci piacerebbe vedere.
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